Metamorfosi – Domenico Castaldi Pittore

Metamorfosi

Galleria Comunale di Arte Contemporanea
I Molini – Portogruaro – METAMORFOSI

Elaine Fantham, studiosa di Ovidio, ha introdotto i tre modelli fondamentali per la creazione dell’Universo descritti dai filosofi greci da cui Ovidio poteva ispirarsi: un modello dell’Universo rappresentato come un organismo vivente, un altro come un artificio creato da un essere divino, e un altro ancora in termini di un’entità politica e sociale. Di gran lunga sembra che egli privilegiasse la concezione “atomistica” di un mondo in perenne cambiamento, tale che nulla rimanga fermo e tutto muti. In parte è come la stessa legge fisica dell’entropia: si muove in due tempi fra disequilibrio ed equilibrio successivo. Ed è della psicoanalisi junghiana: l’intro e l’extravertito, cioè il dentro e il fuori della personalità. Il che dà all’immagine un prima e un dopo. Un prima pensato che è mutante e cangiante per poi prendere lentamente forma in una struttura definita. E’ così che possiamo interpretare la scultura di Domenico Castaldi, definita da lui stesso “metamorfosi”, a proposito delle ultime opere in ceramica. Dove però il processo non è in fieri, in formazione, ma è ben definito nella simbologia acquisita attraverso il pensiero e da questo contrasto fra identità fisica e identità psicologica possibile. Ciò si riscontra soprattutto nelle teste dedicate a diversi autori d’arte, quali Picasso dalla cui testa esce una colomba, per la quale il pittore è famoso vista la sua Colomba della Pace. E questo uscire dalla testa ricorda la Minerva (o Atena per i greci), nata dalla stessa testa di Giove. Quindi è al mito che si richiama Castaldi, anche se questo è il mito della storia dell’arte e/o della letteratura. Fra gli altri vi troviamo D’Annunzio che porta in testa delle lumache o gasteropodi. Animali che lasciano una traccia, vivono nell’acqua marina o nel sottobosco umido, ma soprattutto hanno il guscio costruito a spirale in maniera labirintica, come poteva essere labirintica la mente del poeta. E che dire della testa di Van Gogh da cui esce una testuggine. Essa è forte, coriacea e di lunga durata, tutto al contrario della vita dell’artista, ma non della sua opera che lentamente prese vita e si sviluppò nel tempo, tanto da essere oggi considerato uno dei massimi maestri della pittura mondiale. E corre via l’opera del nostro Autore, sempre sospinto da un vento erotico-esistenziale, che gli fa produrre, su versi di altri, piccole formelle alla maniera di un celebre maestro dell’arte antica: Luca della Robbia con i suoi fondi celesti e personaggi in bianco vetriato dove s’intrecciano storie d’amore e di odio fra giovani e belle donne, sempre sotto l’occhio della natura trasformata in capra invidiosa, oppure in rana cieca, dove davanti ad essa si esibisce in piroette un folle. Forse è l’artista che ha bisogno di specchiarsi, solo, di fronte alla sua anima cieca, tentando di pensarsi da fuori e dare un senso a ciò che ha dentro. Non vi è nulla di eroico in questo modo di leggere il rapporto con i miti della storia dell’arte. Anzi, vi è una dissoluzione d’identità, in quanto l’eroe è folle o si esibisce davanti ad un pubblico cieco, oppure è un letterato che produce labirinti che mutano e quindi sono destinati a perire, a non essere eterni nella loro fragilità. Nonostante la testuggine sia longeva, essa può morire ed essere utilizzata solo come scudo difensivo per tribù primitive o essere ricercata per il suo brodo (contraddizione daliniana del duro e del molle?). Altro modo di dissiparsi e trasformarsi. Così come si è trasformata la pittura di Vincent, al seguito della “moda giapponese” di allora. Così l’opera di Castaldi non ha un centro narrativo e corre parallelamente alla natura, la quale pure essa cambia ed è sottoposta a cangiamenti continui, che rinnova nella narrazione la possibilità di evolvere in un processo che ci porta a mutare continuamente scelte per il puro piacere di esistere.

Boris Brollo, maggio 2014