Carlo Masi – Domenico Castaldi Pittore

Carlo Masi

Domenico Castaldi
& le immaginette di fine secolo

di Carlo Masi

“Ti conoscevo solo per sentito dire,
ma ora i miei occhi ti vedono”
(Giobbe)

La chiave del mio cuore

Oggi l’arte si trova in un cul-de-sac, quello post-moderno. Molti artisti privi di creatività, al di qua e al di là dell’oceano, ancora stravolti e addolorati per la deceduta modernità, sono ora riuniti attorno al corpo dell’arte, ormai in fase terminale avanzata, intenti a praticarle un delirante, quanto inutile e patetico “accanimento terapeutico”, fatto d’immagini prive d’immaginazione, attinte dalla pittura del passato prossimo e remoto, elucubrazioni noiose e insulse, rigurgiti sconci e indecenti. Con quale risultato? Un gigantesco flop estetico con morte (della “paziente”) garantita!

L’arte (forse sarebbe l’ora di cambiare sostantivo) può sopravvivere solo se gli artisti (altro sostantivo obsoleto) sanno trovare adeguatamente alternative estetiche – in tempo reale- al nuovo spazio antropologico che si trovano di fronte, caratterizzato dalle più avanzate tecnologie informatiche. Questa nuova situazione non è definibile in alcun contesto accademico, ma solo nei nuovi prototipi mentali provenienti dallo stadio attuale di civiltà.

Gli artisti hanno il compito di scoprire, fuori dall’arte dei grandi circuiti  mercantili – o business art. … – una nuova estetica dell’invenzione, adeguata alle coscienze presenti nella società e alla complessa contrapposizione fra mitologia popolare e tecnocrazia, senza temere un eventuale processo di sconfinamento nell’estetica della sottocultura o della cultura popolare (finora trascurate), equivalente ad una opportuna e sana “fuga dal centro verso i bordi”. Questa strategia potrebbe essere una delle alternative al naufragio dell’arte. E’ all’opera e al progetto di Domenico Castaldi che penso. Egli tenta una nuova entità estetica: l’ ibridazione dell’arte. Castaldi, delicatamente e con meravigliosa “incoerenza” formale, impasta gli attuali linguaggi spuri dei mezzi di comunicazione commerciale e di entertainment, con un altro linguaggio, quello antico e popolare delle immaginette religiose e degli ex voto.

“Immaginette”, evidentemente, non in senso riduttivo, ma per indicare un segno dolce e fragile dell’arte popolare, quello dei “santini”, che hanno rappresentato, per secoli, uno degli ingenui veicoli per avvicinare la Terra al cielo, “carte povere” ormai appartenenti all’immaginario collettivo e al mercato dell’antiquariato. Dalle icone di Castaldi nasce una provocazione ironica e assieme un gentile e attraente figurativismo, un richiamo quasi fiabesco. L’autore tende a liberare la creatività dalle forme fossilizzate, e coglie il doppio lato delle cose, l’ambivalenza del mondo. Ma contestualmente prende le distanze dall’Arte mondanizzata e dall’estetizzazione della realtà. Da queste premesse emerge la sensazione che il termine di misura della sua arte non sia tanto l’uomo, ma piuttosto le sue “impronte”: archetipi, miti (vecchi e nuovi), credenze, superstizioni, sessualità, paure, “effimeri” di tutti i generi, iconizzati a forma, per l’appunto, di ex voto, di figurine, di santini, oppure di curiose tessere di qualche Pia Opera…, fornendo allo spettatore, per “grazia ricevuta”, – l’ideologia (al presente rarissima) della pura contemplazione. Il “ fedele” dell’arte, al giorno d’oggi, ha bisogno di “vedere”, come Giobbe”… ora i miei occhi ti vedono”. O come gli apostoli all’indomani della Resurrezione.

La lingua artistica di Castaldi è comune alla nostra epoca, è il luogo del “ misticismo” e dello scetticismo, dell’irrazionale e del nomadismo effimero; come metafora è una sfrenata deriva dei valori e il declino d’alcune modalità dell’essere. Questa pittura si pone contro le tentazioni di riguadagnare il discorso storigrafico, in essa non c’è (ed è giusto che sia così) volontà di ripercorrere il passato (cioè la storia) per riproporlo a modello, o assumerlo a pretesto per poi “ ricalpestare” pedissequamente o meno i segni e le orme della grande Arte. Dall’attuale copioso e nauseante repertorio del già fatto e del già visto, Castaldi, lucidamente, si allontana con un suo progetto critico e ironico, separandosi dalle estetiche del passato con cadenza leggera, fuori da qualsiasi idea “alta” di cultura e di intellettualismo. Le opere di quest’autore sfuggono sapientemente al controllo burocratico dei “ funzionari” dell’arte, i quali si trovano spiazzati dinanzi alle modalità espressive di questa pittura, fuori dai labirinti del cerimoniale artistico. Gli ambienti “santuariali” di Castaldi sono stupendi “luoghi” di transito quotidiano, codici e schemi facilmente individuabili, da lui magistralmente shakerati per il piacere dei nostri occhi devoti: la Vergine- Biancaneve (o Biancaneve – Vergine?) e il Cucciolo dei nani, “Kit e Kat”, Barbie, il sacro Cuor di Gesù, i 101 disneyani, la Barilla, la bandiera yankee, la Coca Cola, i dollari, Super-Man (Super-Stress), il sesso, le diversità, ecc. Tutta una trama, un universo di “santi” e di madonne, che tocca l’arredo sacro dei luoghi di culto e i luoghi, altrettanto “sacri”, del business, e giunge garbatamente a toccare il nostro ambito domestico, la nostra privacy estetica. Insomma, sono immagini, anzi immaginette (episodi “ miracolosi”) necessarie per la ricerca della nostra “salvezza”, nella crisi del quotidiano di questo fine secolo.